20 dicembre 2020. Sequestrò il piccolo Di Matteo, il cappellano del carcere gli combinò un incontro con il boss. L’ambasciata è in una telefonata intercettata dall’Antimafia

Attività, Editoriale Aldo Di Giacomo

Giuseppe Costa, il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, tornato in manette venerdì mattina, arrestato da carabinieri e agenti della Dia, aveva ricevuto un messaggio dallo zio, Vito Mazzara, boss ergastolano detenuto, attraverso il cappellano del carcere di Parma. Il frate, Giovanni Mascarucci, non è indagato, ma il contatto con Giuseppe Costa emerge dal blitz che ha condotto all’arresto del boss già condannato a vent’anni per per aver messo a disposizione la sua casa, in parte trasformata in una prigione per tenere sotto sequestro il figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo.

Era tornato in libertà il 3 febbraio 2017, ma le microspie dei carabinieri, a distanza di poco più di un mese, hanno documentato i suoi contatti con i vertici della mafia di Trapani e Marsala. Tra le telefonate annotate dalla Dia di Trapani emerge una conversazione telefonica datata 23 novembre 2019, tra il cappellano del carcere di Parma, Giovanni Mascarucci, e Giuseppe Costa, per invitarlo a mettersi in contatto con Vito Mazzara, boss condannato all’ergastolo per vari omicidi, tra i quali quello dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto ucciso davanti alla moglie a Trapani il 23 dicembre del 1995 (la sua morte fu il regalo di Natale dei boss liberi a quelli detenuti) detenuto a Parma e recentemente assolto per l’uccisione del giornalista Mauro Rostagno.

«Buongiorno, mi ha detto Vito..vi manda un caro saluto e spera di vedervi presto» e alle frasi del sacerdote Costa rispondeva «eh si speriamo di si». Costa, in una telefonata successiva, «confidava ad una sua amica che presto si sarebbe dovuto recare a Parma da suo zio» Costa è nipote di Vito Mazzara per aver sposato una delle nipoti del boss.

Della telefonata  dal cappellano del carcere di Parma, Costa ne parlò anche con Caterina Culcasi, sua zia per essere la moglie di Vito Mazzara. Ad un mese di distanza da quella intercettazione, i pm della Dda di Palermo annotano anche la conversazione con la Culcasi, che «dapprima verteva sulla necessità che Costa potesse aver un colloquio con Vito Mazzara all’istituto penitenziario di Parma, poi si incentrava su una società di calcestruzzi di San Vito Lo Capo, sulla cui gestione Costa mostrava di essere pienamente informato».

Un’azienda che ufficiosamente era controllata dalla cosca mafiosa trapanese, in cui «vi erano ancora attuali interessi e partecipazioni riconducibili ai mafiosi Pietro Virga, figlio del boss Vincenzo, arrestato da latitante nel 2001 e Vito Mazzara». Dinamiche commerciali delle quali era a conoscenza la moglie del boss, che ad un certo punto viene ascoltata alzare la voce e prendere di petto il nipote per il fatto che i proventi di quell’azienda non venivano più condivisi con il clan mafioso.

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