
È quanto afferma il segretario
generale del Sindacato Penitenziari, Aldo Di Giacomo. Solo dall’inizio
dell’anno – aggiunge – sono oltre 200 gli arresti a seguito dello
smantellamento di clan in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, tra i quali
anche boss di primo piano come Marco
Di Lauro. Il problema su cui insistiamo da tempo conoscendo bene la
situazione delle nostre carceri,
comprese quelle per i detenuti sottoposti al 41 bis e che quindi dovrebbero
essere a “massima sorveglianza” è che dalle celle boss ed affiliati continuano
a gestire traffici e attività di criminalità attraverso telefonini. Secondo i dati più aggiornati al 2017, è di
937 il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani.
Quasi due per ogni carcere. Con un aumento del 58,22 per cento rispetto al 2016
(quando i cellulari e/o sim rinvenuti furono 426). Numeri che purtroppo non
indicano fedelmente la situazione. O comunque
attraverso “pizzini” che riescono ad uscire dal carcere. Il secondo problema – continua
Di Giacomo – riguarda il ricambio di manovalanza criminale con giovani e giovanissimi che sono già stati
protagonisti di efferati omicidi e formati alla cultura dei film e delle fiction televisive puntano a scalare
velocemente l’organigramma delle
organizzazioni camorristiche e mafiose. Quanto alla ricostituzione della Cupola di
cosa nostra oltre a rafforzare indagini sui territori – dice ancora Di Giacomo – bisogna “osservare” quanto accade
nelle carceri dove sono detenuti boss e capi clan e dove si decidono le sorti
delle organizzazioni criminali. È l’inchiesta di oggi a Palermo che, oltre a
ricostruire gli assetti mafiosi, a svelare che uno dei capi clan, dal carcere,
dava ordini per il sostentamento della sua famiglia e che nel corso dei
colloqui in carcere forniva alla moglie e al cognato indicazioni sui soggetti
cui rivolgersi per ricevere le somme di denaro che spettavano loro e i
profitti degli investimenti economici realizzati in attività
commerciali pienamente funzionali e attive.