
Così Aldo Di Giacomo,
segretario generale del sindacato polizia penitenziaria, che da oggi manifesta ad oltranza a Roma davanti la
Camera dei Deputati, incatenato a “testimonianza” delle “catene” che legano chi “si batte
per affermare nei fatti la legalità e la sicurezza nelle
celle e fuori di esse”.
Vogliamo parlare di cosa circola nelle celle? Nel corso
dello scorso anno sono stati rinvenuti nelle carceri italiane più di 750
telefonini cellulari, molti dei quali utilizzati da capi clan per gestire
comodamente i propri traffici illeciti e le loro associazioni criminali; sono
stati sequestrati più di 12 kg di droga; quasi 600 sono state le aggressioni
perpetrate in danno di poliziotti penitenziari, ogni giorno una media di 12
poliziotti penitenziari è costretta a far ricorso alle cure dei diversi nosocomi
della Repubblica in seguito alle violenze subite; 65 i suicidi di detenuti in
carcere e 8 di personale penitenziario. Sono
dati che – dice Di Giacomo – da soli dovrebbero servire ad aprire occhi ed
orecchie anche in Parlamento ed invece mentre si annunciano nuove assunzioni
non ci sono soldi per le mense: una sequela di appalti e sub appalti vari che
negli anni ha portato al fallimento di aziende che dovevano fornire la mensa
degli istituti di pena (almeno una trentina) e dove nonostante l’incalzare dei sindacati
il ministero della giustizia è rimasto assente e in silenzio. Tutto parte dal
Triveneto e dall’Emilia Romagna. Poi però investe anche il Trentino. Così gli
agenti che già si pagano il vestiario nuovo e persino il posto-branda adesso
mangiano con il cibo portato da casa. Ecco perché dopo oltre sei mesi
dall’avvio della campagna “Noi le vittime Loro i Carnefici”, un tour che ci ha
portato in decine di tappe a manifestare davanti numerose carceri del Paese per
la dignità del personale penitenziario e per la sicurezza dei cittadini,
abbiamo deciso di portare la protesta davanti la Camera dei Deputati. Non
possiamo più tollerare la confusione tra carnefici e vittime e interpretiamo la
rabbia dei nostri colleghi di Foggia che dopo aver rischiato la vita per sedare
la rissa in cella tra boss a distanza di
qualche anno li vedono assolti come se non fosse accaduto nulla. Purtroppo
dobbiamo registrare che le aggressioni agli agenti, le risse tra detenuti e
persino i suicidi di personale di Polizia Penitenziaria non fanno più notizia
se non per pochi righi di cronaca locale. Noi vogliamo tenere accesi i
riflettori dell’opinione pubblica su questi temi, sulla verità che nessuno può
smentire che nelle carceri comandano i boss e capi clan con il rischio sempre più
alto di radicalizzazione di islamisti potenziali terroristi come della
diffusione della mafia nigeriana, nella convinzione che la certezza della pena
non può essere solo un buon auspicio: la gente – la vittima - è stanca di
vedere dopo poche settimane dall’arresto il malvivente-carnefice che gira
davanti casa propria.