
“Per noi - lo ribadiamo - l'unica
forma di prevenzione possibile nelle carceri è bloccare
ogni contatto con l'esterno, insieme
ad una campagna di vera prevenzione
e di comunicazione che coinvolga prima
di tutto il personale in servizio che è invece abbandonato a sé stesso nel
gestire la situazione. Se invece qualcuno pensasse ad istituire in ciascun
carcere una sorta di spazio isolamento per eventuali casi coronavirus –
aggiunge Di Giacomo – farebbe bene a toglierselo dalla testa perché non solo
non scongiurerebbe la diffusione del virus ma determinerebbe una situazione di
panico tra i detenuti del tutto
incontrollabile rispetto alla quale non resterebbe che evacuare il carcere con tutto
ciò che comporta. Si provi ad immaginare in un carcere di mille detenuti quale
potrebbe essere la reazione alla notizia di un possibile contagio all’interno
dello stesso; si consideri, inoltre, che l’unica soluzione possibile per
evitare il contagio dell’intero carcere è l’evacuazione dell’intera struttura.
Quest’ultima strada appare del tutto non perseguibile per ovvi motivi, senza
voler creare allarmismi, vi è la necessità assoluta di chiudersi verso l’esterno al primo focolaio del virus per
evitare che tutti, poliziotti, detenuti, ecc., possano sistematicamente ammalarsi.
Di Giacomo aggiunge: “sono molti i
detenuti delle carceri del centro-nord, già da qualche giorno, a dimostrare
buonsenso chiedendo, sempre più numerosi, di rinunciare ai colloqui con i
familiari che invece si continuano a tenere negli istituti del Sud, senza alcun
controllo per chi arriva come per nuovi detenuti, proprio come se niente fosse
accaduto fuori degli istituti penitenziari. Si prenda esempio da questo
atteggiamento di prudenza e si intervenga rapidamente con piani e programmi che
coinvolgano prima di tutto il personale penitenziario”.