21 maggio 2018. Di Giacomo: fuga detenuto tunisino riaccende campanello d’allarme su radicalizzazione islamica in carcere. Italia sempre più a rischio attentati più a rischio attentati

Attività, Editoriale Aldo Di Giacomo

Con la presenza negli istituti penitenziari italiani tra i 10 e i 15 mila detenuti islamici e le continue storie di “radicalizzazione” in carcere, la fuga oggi a Milano del detenuto tunisino dovrebbe far scattare un autentico campanello d’allarme. È il commento del segretario generale del S.PP. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo che aggiunge: la  cosiddetta classificazione del livello di radicalizzazione dei detenuti islamici si presta a varie interpretazioni e comunque non serve certamente  a  tranquillizzare  il  personale  penitenziario che è impreparato alla gestione di questo problema e tanto meno i cittadini.     La realtà è diversa: sono sempre più numerosi gli episodi di detenuti di fede islamica che in carcere manifestano comportamenti tipici della radicalizzazione  islamica,  come  inneggiare agli attentati di matrice islamica e mostrare apertamente odio verso l’Occidente. Secondo i dati più aggiornati i detenuti sui quali si concentrano timori  di  radicalizzazione  sarebbero circa 500 suddivisi in tre categorie: ”segnalati”, ”attenzionati” e ”monitorati” .  Una  cinquantina le persone sono incarcerate con l’accusa di  terrorismo  internazionale nelle  sezioni di alta sicurezza riservate a loro (Rossano, Sassari e Nuoro). Per gli altri, che sono ritenuti soggetti a rischio,  vengono  condotte attività  di  monitoraggio  che  puntano  a rilevare atteggiamenti di sfida verso le  autorità,  rifiuto di condividere gli  spazi  con  detenuti di altre fedi religiose, segni di gioia di fronte a  catastrofi  o attentati  in  Occidente,  esposizione di simboli legati al jihad. Gli ultimi dati forniti dal Ministero alla Giustizia – sottolinea Di Giacomo – sono sicuramente  superati  da  una  situazione  in  forte  evoluzione per il continuo e costante ingresso di cittadini extracomunitari di fede islamica (e non) nei nostri istituti penitenziari. Ma se è assolutamente chiaro chi sono i terroristi, in quanto sono   in carcere perché imputati o arrestati per una specifica fattispecie di  reato, non è così chiara  la   costruzione   delle   altre    tre categorie    entro    cui    sono    collocati    i    detenuti  ritenuti ‘radicalizzati’. Per questo è indispensabile  sviluppare in  carcere  programmi  mirati  alla formazione di personale che sappia individuare i processi di radicalizzazione ”dietro le sbarre”  per  aiutarli  a  distinguere la  pratica   religiosa,   o   il   riferimento   a   una   particolare concezione dell’islam, dai  possibili  indicatori di  radicalizzazione.  In  carcere accade quello che già accade con il reclutamento e l “affiliazione” a clan mafiosi di detenuti. Altra nostra richiesta è quella di rafforzare il personale di polizia penitenziaria specie negli istituti dove il numero di detenuti extracomunitari ed islamici  è  più  alto  e  dove  si continuano a verificare episodi di aggressione al personale.

Il Segretario Generale

Dott. Aldo Di Giacomo

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