Antonio Di Martino, 40 anni, ricercato dal 2018 per estorsione aggravata dal metodo mafioso è stato catturato a Gragnano, precisamente nella zona di Sigliano, dalla Polizia di Stato dopo un’accurata e lunga indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
Figlio del boss Leonardo o’ Lione e reggente del clan di «famiglia» di Gragnano, era ricercato nell’ambito dell’inchiesta Olimpo che dunque non l’ha visto a processo.
Di Martino era stato arrestato l’ultima volta nel 2015 in provincia di Avellino insieme con un complice. Bloccato in autostrada trasportava sulla vettura 45 chilogrammi di marjiuana.
La maxi operazione Olimpo nel dicembre del 2018 condusse in carcere l’imprenditore Adolfo Greco considerato anello di congiunzione tra i vari cartelli criminali della zona stabiese e legato alla camorra casalese ed all’arresto di Teresa Martone “mamma” del clan D’Alessandro, oltre che di altri esponenti del clan D’Alessandro, Cesarano e Di Martino.
A darne notizia è Aldo Di Giacomo Segretario Generale del sindacato di Polizia Penitenziaria S.PP.: “Un ottimo lavoro da parte della Polizia di Stato e della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Auspichiamo che una volta in carcere non riesca a gestire i propri traffici con più vigore e con maggiore capacità organizzativa rispetto a prima.
Ciò purtroppo è quel che succede molto spesso ai criminali che stanno in carcere, i quali sempre più spesso riescono a riorganizzare la propria attività criminale sui propri territori impartendo ordini da dietro le sbarre verso l’esterno.
Servono norme più stringenti per evitare che il carcere diventi un punto di ripartenza anziché di arrivo delle organizzazioni criminali. Va sicuramente su questa strada il varo della recentissima norma che prevede l’introduzione di un reato specifico per chi cerca di introdurre, introduce e utilizza telefonini dal carcere.
Tuttavia tale norma da sola sicuramente non può bastare per evitare che i criminali beffeggino lo Stato e soprattutto violentino due volte le vittime e i loro familiari, utilizzando il carcere come punto di ristoro e di riorganizzazione.”