Quello che continua a mancare è un piano complessivo di intervento.
“Il ritrovamento di una ventina di telefonini nei diversi reparti del carcere di Agrigento, grazie al lavoro professionale del personale penitenziario, è ancora un segnale di una situazione di grande emergenza.
Una situazione che allarma i cittadini in troppi casi vittime di minacce, estorsioni e ritorsioni da capi mafia ed appartenenti al clan con l’uso disinvolto dei telefonini”.
A sostenerlo è Aldo Di Giacomo, segretario generale del Fsa-Cnpp-Spp (Sindacato Polizia Penitenziaria) per il quale “se la presenza nelle celle di telefonini, spesso di alta generazione tecnologica, è sempre motivo di preoccupazione e della necessità di dotare il personale di strumenti e mezzi adeguati per stroncare traffico e uso degli stessi, in istituti come Agrigento che su 350 detenuti e circa 200 agenti registra un’alta presenza di appartenenti a clan mafiosi, la preoccupazione è maggiore.
Qui lo Stato, con la perdita del controllo degli istituti penitenziari dell’isola, perde due volte fuori lasciando alle mafie campo libero, scoraggiando i cittadini spaventati a collaborare con i magistrati.
Tutto questo mentre, come riferiscono media dell’isola, nei primi otto mesi dell’anno sono state ben 1.522 le violazioni penali commesse dai detenuti.
Un dato complessivo che include violenze, minacce, ingiurie, oltraggi e resistenze a pubblico ufficiale, a cui si affiancano 42 proteste collettive, con i reclusi che si sono rifiutati di rientrare nelle celle, e 97 cosiddette battiture.
Le carceri siciliane – aggiunge Di Giacomo – si confermano le peggiori d’Italia.
Quello che continua a mancare – evidenzia Di Giacomo – è a dire un piano complessivo di intervento per affrontare in maniera organica i problemi cronici di sovraffollamento, carenza organici, suicidi e morti per altre cause di detenuti, oltre che aggressioni e violenze al personale, rivolte, traffico di droga, diffusione di telefonini”.







































