“I traffici illeciti per decine di migliaia di euro in pochi mesi su cui indaga la Procura di Perugia ad opera di un gruppo criminale con a capo un detenuto a Poggioreale-Napoli sono solo l’ennesimo caso che dimostra di chi comanda dal carcere.
È da tempo che lo denunciamo: negli istituti penitenziari – soprattutto in quelli campani e siciliani – gli ordini ai gruppi di camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti partono dalle celle con l’uso comodo del telefonino”.
Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria che aggiunge: “nel carcere con i sempre più numerosi telefonini in circolazione non si girano solo creativi filmati per tiktok ma si continua a comandare clan e affiliati per qualsiasi forma di crimine, si ordina persino di compiere omicidi come è accaduto a fine dicembre scorso, con l’ ordine di omicidio a Benevento impartito via telefono dal carcere di Augusta, in Sicilia, da un detenuto contro la sua ex compagna e che solo fortuitamente si è risolto in tentato omicidio.
È il caso di ricordare – aggiunge – i numerosi casi scoperti persino di summit di mafia comodamente dalle celle via Skype, videochiamate per impartire ordini nei mandamenti, richieste estorsive, minacce per ritirare denunce.
Se non fosse per l’incessante opera del personale penitenziario i rifornimenti di telefonini anche con l’uso di droni trasformerebbero gli istituti in centrali telefoniche e supermarket della telefonia mobile.
Solo la politica non se ne accorge non affrontando radicalmente la situazione e accogliendo la nostra proposta di inasprimento delle pene per i detenuti trovati in possesso di telefonini, senza possibilità di concedere alcun tipo di beneficio. Almeno noi – dice Di Giacomo – non abbiamo alcuna intenzione di ammainare bandiera bianca all’anti- Stato che vuole dimostrare di essere più forte dello Stato.
Lo dobbiamo innanzitutto alle vittime e alle famiglie delle vittime di attentati di mafia, ‘ndrangheta, camorra che continuano a sentirsi minacciati nonostante gli autori dei crimini siano in cella e lo dobbiamo ai sempre più numerosi colleghi aggrediti in carcere.
Ma ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomo – è che solo in queste occasioni i media scoprono l’acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più tecnologici finiti persino nelle mani dei giovanissimi oltre che di boss, capo clan ed affiliati che hanno facile accesso ai social.
È un ulteriore segno dell’impotenza dell’Amministrazione Penitenziaria che per l’anniversario della fondazione del Corpo ha realizzato uno “spot” di sicuro effetto cinematografico e che continua a provocare indignazione.
Mistificando la realtà delle carceri e delle condizioni di lavoro del personale non si fa un buon servizio alla collettività e al Corpo che non ha più alcuna voglia di festeggiare l’anniversario della fondazione perché non c’è proprio nulla da festeggiare”.