Farà tappa domani al Carcere di San Vittore-Milano il tour – “Noi le Vittime Loro i Carnefici” – del segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo. Una scelta non casuale perché – spiega Di Giacomo – il carcere milanese è l’emblema dell’emergenza generale che coinvolge tutti gli istituti di pena e che tocca il personale penitenziario e i detenuti. La tappa milanese, dopo quelle numerose dei mesi scorsi dal Nord a Sud, cade a pochi giorni dall’ennesimo suicidio di un detenuto (Pietro Carlo Artusi, che si è impiccato nel carcere di San Vittore utilizzando le sbarre della sua cella) e da un altro episodio emblematico: la rivolta dei detenuti in occasione dell’ingresso nello stesso carcere dell’autista senegalese Ousseynou Sy che ha minacciato di bruciare l’autobus che guidava, con 51 studenti a bordo. Siamo arrivati – dice il segretario del S.PP. – ad una media di cinque suicidi di detenuti ogni mese mentre già da tempo non fanno più notizia i suicidi degli agenti penitenziari, che hanno raggiunto una media di tre ogni due mesi, di cui l’ultimo, a gennaio, ha riguardato un Assistente Capo Coordinatore del Corpo di Polizia Penitenziaria, di circa 41 anni, originario di Cagliari e da molti anni in servizio proprio a S. Vittore. Il sovraffollamento nelle celle – quasi 14 mila in più rispetto alla capienza regolamentare, con un indice del 129 per cento in più – e le pressanti condizioni di stress lavorativo del personale sono le cause principali di tutto questo. Una situazione che come dimostra il “caso scandaloso” del progetto per la costruzione della Casa Circondariale di Bicocca- Catania, con un finanziamento di 27 milioni di euro, per 450 nuovi posti-cella, bloccato da sei anni, il Ministero Grazia e Giustizia e l’Amministrazione Penitenziaria non sono in grado di affrontare se con misure tampone. Secondo Di Giacomo “si stanno sottovalutando due nuovi aspetti della sicurezza: la detenzione, nel giro di qualche mese, di un ingente numero di capimafia e boss di organizzazioni criminali e l’incremento di appartenenti ai clan della mafia nigeriana. Senza adeguati controlli, come testimonia il continuo rinvenimento nelle celle di telefonini, i boss continuano a dare ordini e fuori si scatena la guerra alla successione con la pericolosa corsa dei giovanissimi. I mafiosi nigeriani invece approfittano della permanenza in carcere per reclutare manodopera da ingaggiare nelle nostre città per lo spaccio di droga, i furti e le rapine, la prostituzione e il traffico di essere umani.
Il nostro tour – conclude – punta ad accendere i riflettori non solo quando in carcere accadono fatti di cronaca e soprattutto ad affermare chi sono le vere vittime e chi i veri carnefici mettendo fine ad un’insopportabile confusione che regna nel Paese”.